Domenica, 18 Giugno 2017

Benvenuta Dalia

Ho alle spalle due cesarei per motivi parzialmente necessari il primo, e necessari il secondo.

Dopo un anno e mezzo dal mio secondo parto, rimango incinta nuovamente e la gioia ci travolge una terza volta. Questa volta mi metto subito in contatto con Eleonora, desidero che l’intera gestazione sia seguita da lei fin dall’inizio. Scelgo di appoggiarmi ad un altro ginecologo solo per alcuni importanti documenti e un paio di controlli e cambio ospedale. Durante tutta la gravidanza decidiamo di non farci dire il sesso del bambino, ma di scoprirlo solo al momento del suo arrivo. Durante le visite ostetriche sentiamo il suo cuoricino battere forte e man mano che il pancione cresce inizia il nostro iter: avere un parto vaginale dopo due cesarei si rivela un percorso lungo e tortuoso, fatto di scelte importanti, in cui ci troviamo spesso a doverci scontrare con alcune figure professionali, ma sempre e comunque appoggiati dalla nostra ostetrica, che non manca mai di esserci accanto e di spronarci a cercare la nostra dimensione.

Il 17 giugno 2017, in un rovente sabato pomeriggio di inizio estate percepisco che le primissime contrazioni, che da giorni ogni tanto si stanno facendo sentire, cominciano ad intensificarsi: il momento tanto atteso è arrivato. Mi godo quegli attimi a casa con Mauro, Gioele e Romeo vivendo la nostra quotidianità. Nel frattempo chiamo Eleonora la quale ci comunica che probabilmente nel giro di una giornata conosceremo la nostra Pagnotta (come l’abbiamo soprannominata nell’attesa di scoprirne il sesso) e che ci offre la possibilità di affrontare la prima parte di travaglio al Centro Ostetrico, per poter gestire meglio la situazione ed essere un pochino più tranquilli senza dover badare ai bambini in un momento tanto impegnativo. Decidiamo di cogliere quell’occasione.

Mentre attendiamo l’arrivo della nonna che possa badare ai piccoli, Gioele mi propone di fare un bagno insieme nella piscina di casa nostra. Una volta entrata in acqua, sento subito le contrazioni cambiare, farsi meno dolorose e tutto il peso del pancione svanire: quella piccola nuotata mi sta dando forza e il tempo passato con mio figlio mi aiuta a non pensare troppo. Quando arriva la mia mamma salutiamo i bambini dicendo loro che la mamma stava andando a far nascere il fratellino o la sorellina e saliamo in macchina. All’arrivo al Centro Ostetrico siamo accolti da Eleonora in una bella stanza preparata con tutto il necessario per affrontare al meglio il momento: il pallone da parto, la vasca per il travaglio e un ambiente comodo e tranquillo dove far passare le ore che ci attendono.  Ridiamo e scherziamo, quindi la fase attiva è ben lontana dal venire e, nel frattempo, inizio a molleggiare su e giù sulla palla per lenire il dolore dei prodromi. Essendo ora di cena e avendo ancora tanto tempo davanti mio marito decide di andare a prendere qualcosa da mangiare e da bere poco distante da noi, dove si sta svolgendo una festa rionale. Al suo ritorno saremmo rimasti un po’ da soli in modo da dare l’opportunità anche alla nostra ostetrica di cenare. Appena esce Eleonora mi visita, controllando che tutto proceda bene e dicendomi che sono all’inizio della dilatazione: ci aspetta una lunga serata. Mi riempie la vasca di acqua tiepida ed io, memore del bagno fatto a casa, mi immergo subito, appoggiandomi con le braccia al bordo e facendo in modo che la pancia e la schiena siano coperte dal calore dell’acqua, cosa che in quel momento mi da’ un gran sollievo. Ad un tratto, sento le contrazioni cambiare ancora, diventando improvvisamente più intense e ritmiche e, mentre continuo a dondolarmi nell’acqua, ho bisogno di usare la voce; dapprima in maniera controllata, provando a far defluire tutto in quel suono profondo, come mi ha spiegato la mia ostetrica: mi aiuta a gestire quegli attimi e, intanto, lei mi massaggia la schiena, dove percepisco maggiormente la potenza delle contrazioni. La luce nella stanza è tenue e l’atmosfera è magica e meravigliosa. Poco dopo ritorna Mauro con una birra per me che non berrò mai e con tanta paura perché la situazione si è evoluta velocemente e proprio mentre lui non era presente, vedo nei suoi occhi il ricordo delle tremende esperienze passate fare capolino, ma viene subito rassicurato che tutto stia procedendo bene, anche se in maniera piuttosto rapida. Continuo a dondolare il bacino,sento l’acqua che mi culla, cerco di consentire a questo bambino di farsi strada dentro di me e ad ogni contrazione chiedo che mi venga massaggiata la schiena con vigore. Desidero che rimangano accanto a me, ho un bisogno vitale della loro presenza e loro non mi lasciano mai sola. Eleonora mi invita a togliermi gli occhiali se ne sentissi la necessità; io però rifiuto: voglio vedere bene tutto intorno a me, non voglio perdere un istante di quei momenti. Ancora mi risuona nelle orecchie la sua risposta: ”Ad un certo punto non li vorrai più, ad un tratto sarà come se entrassi in un’altra dimensione, una dimensione in cui tu devi andare a prendere Pagnotta e tornare qui insieme a lei”. Pochi minuti dopo quelle parole si rivelano molto più che vere: tolgo gli occhiali di scatto. Il travaglio procede spedito, le contrazioni si fanno sempre più ravvicinate ed io mi sento fuori da quella stanza e da quella vasca, sento il bimbo scalciare dentro di me, le mani della mia ostetrica e quelle di mio marito sulla schiena a lenire il dolore e la mia voce che man mano sale, fino a trasformarsi in un grido liberatorio. Cerco di respirare profondamente ed anche questo mi aiuta ad affrontare la situazione: come un mare in tempesta sono in balia di questo evento. Questa volta ho paura, sono terrorizzata dall’eventualità di un altro cesareo, terrorizzata dal dolore che, chissà perché, ho come l’impressione debba crescere ancora d’intensità e persino dall’eventualità di non farcela, di morire in quella vasca insieme al mio bambino. Cerco di ascoltare quello che mi dicono, di rimanere comunque presente, di fare come mi suggeriscono perché alterno momenti di pura euforia ad istanti in cui credo di non riuscire a proseguire. Chiedo solo che finisca tutto in fretta ed effettivamente tutto sta procedendo in maniera repentina. Vengo nuovamente visitata e scopro di essere a 5 cm di dilatazione dopo solo un’ora dall’avvio del travaglio attivo. Continuo il dondolio del bacino,sempre con le braccia che stringono con forza il bordo della vasca, succedono tante cose intorno a me di cui ho appena un vago ricordo. Passa un’altra ora ed io sento il bisogno di iniziare a spingere. A quel punto Eleonora capisce che non si può più aspettare e con il suo aiuto e quello di Mauro vengo, seppur riluttante, accompagnata fuori dalla vasca, vestita ed aiutata a salire sul sedile posteriore della macchina, dove riprendo la posizione antalgica che avevo nel centro e stringo forte il poggiatesta, mentre le mie ginocchia affondano nel sedile. Al nostro arrivo al pronto soccorso siamo accolti da un’infermiera molto maleducata che vuole ad ogni costo visitarmi prima di salire in reparto e mi chiede ripetutamente di mettermi supina sulla barella per consentire loro di capire l’avanzamento del travaglio. Io mantengo testardamente la mia posizione, ma dietro alla sua continua insistenza mi portano in una saletta lì accanto, mi scoprono e vedendo che sto per partorire, mi mandano immediatamente in sala parto. Mentre stiamo per salire in ascensore ci raggiunge Mauro, che nel frattempo ha dovuto parcheggiare la macchina e fornire i miei dati. Una volta arrivati passo dalla barella al lettino come se ancora fossi aggrappata al bordo di quella piccola piscina da parto, afferro le maniglie del lettino e la mano di mio marito, ho il suo viso accanto al mio, la sua voce sopra di me e la mano di Eleonora è lì accanto, rassicurante. Trovo due ostetriche di turno che mi accolgono con calore e due ginecologi, uno dei quali era colei che mi aveva seguita per pochi appuntamenti durante la gravidanza e che mi aveva detto che sperava di non dover essere presente il giorno che avrei partorito, visti gli immensi rischi a cui paventava sarei andata incontro mettendo in pericolo me e il bambino che aspettavo. Entrambi i medici si mostrano titubanti del fatto che io abbia avuto il benestare del primario per poter partorire dopo due cesarei, cosa invece accaduta pochi giorni prima. Uno dei due insiste nel volermi portare in sala operatoria. Intanto le ostetriche gli dicono che si vede la testa del bimbo e l’intervento chirurgico non è necessario, ma lui non demorde e chiede alcuni esami che non sono presenti nella mia cartella e che si sarebbero rivelati utili in caso di un’operazione. Il resto del personale, mio marito e la nostra ostetrica gli ripetono che sto per partorire, che la testolina del bambino è visibile ed anche i suoi capelli. Finalmente si fa da parte. Quando riusciamo ad avere un po’ di tranquillità, inizia la fase espulsiva vera e propria; incoraggiata dal personale e da Eleonora e Mauro affronto le contrazioni e le spinte con foga e incredulità, sapendo che sto per partorire, che sto per dare alla luce il mio bambino con un parto spontaneo, rispettato. Piango dalla gioia e stringo forte la mani alle maniglie del letto, sento la voce di mio marito e della mia ostetrica che mi danno vigore. Una delle ostetriche di turno mi chiede se stia per nascere un maschio o una femmina ed io rispondo che abbiamo deciso di scoprirlo alla nascita, poi mi domanda di che sesso penso che sia e mi sento di rispondere: ”maschio”. Nonostante abbia passato tutta la gravidanza convinta che fosse una bimba... Poche spinte dopo sento affiorare la testolina e il suo corpo muoversi frenetico ancora dentro di me. Abbasso la mano e sento la sua fronte, il suo viso e suoi capelli sotto il mio tocco. E’ una sensazione estatica. Ce l’ho fatta: sto partorendo! Eleonora e Mauro mi incitano ogni volta che ricominciano i dolori: sono lì, ancora accanto a me, non mi hanno lasciata mai e di questo non potrò mai dire grazie abbastanza. Passano alcuni minuti, spingo con più intensità, penso che a breve sarà davvero tutto finito, che avrò partorito e ci sarà una nuova vita nella nostra famiglia. All’ultima spinta sento le contrazioni cessare di colpo, il suo corpicino separarsi dal mio. Faccio un paio di respiri profondi per cercare di tornare padrona di me stessa e in quell’istante una mano mi sfiora la spalla e sento dire : “E’ qui, sul lettino. Non te lo dico cos’è, guarda tu!” Abbasso lo sguardo su quel faccino urlante, su quella testina piena di capelli proprio come me la sono immaginata ed io e Dalia, la nostra bambina, ci incontriamo per la prima volta al di là di quel pancione, di quei mesi di attesa, di quella paura che in un secondo è svanita. Mi sento potente, la stanchezza non esiste più e in quella che ormai è diventata una rovente domenica di giugno, due minuti dopo la mezzanotte, la stringo forte al petto e lei resta lì a farsi cullare dalle mie braccia, occhi negli occhi, il suo cuore sul mio. Guardo la nostra terza meraviglia, contemplo lei e la potenza della sua nascita e il mondo per noi, in quel momento, non esiste più.

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